LA COMUNICAZIONE DI TRUMP, ANALISI DI UNO STILE DIROMPENTE

Descrizione del post La comunicazione politica contemporanea ha subito una trasformazione radicale nell'ultimo decennio e Donald Trump ne è stato indubbiamente uno dei protagonisti principali. blog.

POLITICA E SOCIETÀ

Adolfo Tasinato

6/27/202511 min read

Di Adolfo Tasinato

La comunicazione politica contemporanea ha subito una trasformazione radicale nell'ultimo decennio e Donald Trump ne è stato indubbiamente uno dei protagonisti principali. L'attuale Presidente degli Stati Uniti, tornato alla Casa Bianca dopo la vittoria elettorale del novembre 2024, ha ridefinito i canoni della comunicazione politica tradizionale, creando un modello che molti hanno tentato di emulare, con risultati alterni.
Ma quali sono gli elementi distintivi dello stile comunicativo trumpiano? Come si è evoluto nel tempo? E perché risulta così efficace nell'era dei social media? Questo articolo analizza sinteticamente le tecniche di comunicazione del Presidente USA, evidenziando le peculiarità che lo distinguono da altri leader mondiali.
La caratteristica più evidente dello stile comunicativo di Trump è la semplicità linguistica. Frasi brevi, vocabolario accessibile, ripetizioni strategiche: elementi che rendono il suo messaggio immediatamente comprensibile a un pubblico vastissimo.
Studi linguistici hanno rilevato che Trump utilizza mediamente parole di cinque lettere e struttura frasi che raramente superano le quindici parole. Questa scelta non è casuale, ma risponde a una precisa strategia comunicativa: arrivare direttamente al suo pubblico, saltando la mediazione tradizionale dei media.

"Make America Great Again", "Build the Wall", "America First": slogan concisi, facilmente memorizzabili e ripetibili che hanno contribuito a creare un'identità comunicativa immediatamente riconoscibile.
Lo stile comunicativo di Donald Trump si basa su un linguaggio semplice, ripetitivo e carico di emozioni forti. Lontano anni luce dal politichese, Trump parla "come la gente", ma con l’intenzionalità di un marketer. Le sue frasi sono brevi, dirette, spesso interrotte da slogan o epiteti ("Crooked Hillary", "Sleepy Joe", "Fake News") che funzionano come armi retoriche. Sono facili da ricordare, da ripetere e da diffondere.
Questa semplicità non è sinonimo di superficialità ma di efficacia comunicativa. È un linguaggio progettato per essere efficace nei formati brevi dei social media, per essere rilanciato, tagliato, remixato. Nei suoi comizi, ad esempio, Trump non costruisce generalmente discorsi articolati, ma una serie di frasi-meme che vivono di vita propria su X (ex Twitter), Facebook o Truth Social (la piattaforma da lui fondata).


L'iperbole e la provocazione come marchio di fabbrica
L'uso sistematico dell'iperbole è un altro elemento distintivo della comunicazione trumpiana. Trump non parla mai di "buoni risultati", ma di "risultati straordinari"; non critica semplicemente gli avversari, ma li definisce "i peggiori della storia". Dopo il blitz aereo sulle installazioni iraniane per l'arricchimento dell'uranio ha parlato di “svolta simile a Hiroshima e Nagasaki”.
Questa tendenza all'esagerazione, che in un contesto comunicativo tradizionale potrebbe essere considerata inappropriata, diventa invece funzionale in un ecosistema mediatico caratterizzato dalla sovrabbondanza di informazioni. L'iperbole permette di superare il "rumore di fondo" e catturare l'attenzione.
"We will build the biggest, the most beautiful wall you've ever seen" o "Nobody knows more about trade than me" sono esempi di come Trump utilizzi l'esagerazione per imporre la propria voce nel dibattito pubblico.
Trump ha fatto della provocazione uno strumento comunicativo di straordinaria efficacia. Le sue dichiarazioni controverse generano regolarmente ondate di indignazione ma si traducono in una copertura mediatica vastissima e gratuita.


La provocazione trumpiana segue spesso uno schema preciso: un'affermazione controversa viene lanciata, generando una tempesta mediatica; successivamente, può essere moderata o ricontestualizzata, mantenendo però viva l'attenzione sul tema scelto. Questa tecnica consente a Trump di dettare l'agenda del dibattito pubblico, costringendo avversari e media a rispondere ai temi da lui imposti.
Se osserviamo le tante dichiarazioni sui dazi nel commercio vediamo che a volte appaiono contraddittorie ma anche questa è una strategia che da un lato ha lo scopo di alimentare la trattativa e dal punto di vista della comunicazione ha l'obiettivo di tenere sempre alta l'attenzione sui media e sui canali social in particolare.


Un aspetto controverso dello stile comunicativo di Trump è il suo rapporto elastico con la verità fattuale. Fact-checker come il Washington Post hanno documentato un buon numero di affermazioni fuorvianti durante la sua presidenza.
Tuttavia, sarebbe riduttivo considerare questo aspetto come semplice disinformazione. Trump ha intuito che, nell'epoca della post-verità, l'impatto emotivo di un'affermazione può prevalere sulla sua accuratezza fattuale. Le sue "verità alternative" rispondono a una narrazione emotivamente coerente per il suo pubblico di riferimento, creando una realtà parallela che rafforza il legame con i suoi sostenitori. Donald sa che bisogna raggiungere e sollecitare l'immaginario dei suoi potenziali elettori per produrre emozioni, dimostrare autorevolezza conquistandosi il coinvolgimento e la fiducia della gente.


I social media la piattaforma ideale
Se esiste un ambiente comunicativo perfettamente adatto allo stile di Trump, questo è certamente rappresentato dai social media. La brevità imposta da piattaforme come Twitter (ora X) si sposa perfettamente con la concisione trumpiana; la polarizzazione intrinseca agli algoritmi dei social media amplifica l'effetto delle sue provocazioni.
Trump è stato tra i primi leader mondiali a capire davvero la logica dei social media: non sono solo strumenti di diffusione, ma luoghi di interazione e di conflitto, branding e fidelizzazione. Durante la sua presidenza, ha usato Twitter come canale diretto per dettare l’agenda politica, bypassare i media tradizionali e alimentare lo scontro. Ogni tweet era studiato per ottenere una reazione, per dividere, per costringere media e avversari a inseguirlo.
Il principio è semplice ma potente: la provocazione come leva per il coinvolgimento. Dichiarazioni controverse, insulti, battute fuori luogo: tutto genera indignazione e, quindi, attenzione. E l’attenzione, nell’economia dell’algoritmo, si traduce in visibilità e potere. Questo approccio si basa sulla logica dove l’engagement conta più della verità e dove polarizzare è più efficace che convincere.
Trump ha compreso prima di molti altri leader politici che i social media non sono semplicemente un canale di distribuzione di messaggi, ma un ecosistema comunicativo con regole proprie. Ha adattato il suo stile a queste regole, usando:
Comunicazione diretta: bypassando i media tradizionali per parlare direttamente ai suoi sostenitori
Tempestività: reagendo agli eventi in tempo reale, spesso anticipando la narrazione mediatica
Personalizzazione: creando soprannomi memorabili per gli avversari ("Crooked Hillary", "Sleepy Joe")
Uso strategico delle maiuscole e della punteggiatura: per enfatizzare concetti chiave e simulare l'oralità

L'impatto dei suoi tweet è stato tale che, quando fu sospeso da Twitter nel gennaio 2021, molti analisti politici parlarono di un significativo cambio di paradigma nella comunicazione politica americana.
Con il suo ritorno sui social media dopo la rielezione, Trump ha ulteriormente raffinato questa strategia, adattandola ai nuovi formati emergenti come i brevi video verticali, mantenendo però invariati i principi fondamentali del suo approccio comunicativo.
La comunicazione di Trump non mira al consenso trasversale, ma alla mobilitazione intensiva della propria base. Questa strategia, definita da alcuni analisti "politica della divisione", si basa sulla polarizzazione come strumento di coinvolgimento.
Trump identifica chiaramente "noi" (i suoi sostenitori) e "loro" (avversari politici, media mainstream, élite), creando una narrazione binaria che rafforza l'identità collettiva dei suoi seguaci. L'uso ricorrente di espressioni come "fake news", "deep state", "America's enemies" contribuisce a consolidare questa visione dicotomica della realtà politica.
La polarizzazione non è un effetto collaterale, ma un obiettivo strategico: in un contesto polarizzato, l'elettorato è più incline alla mobilitazione e meno disposto a cambiare opinione in base a nuove informazioni.
Trump è un leader influencer, capace di muoversi tra la politica e l’intrattenimento. Non cerca il consenso largo, ma quello intenso.


Il confronto con altri leader mondiali
Lo stile comunicativo di Trump appare ancora più distintivo quando confrontato con quello di altri leader internazionali, vediamone brevemente alcuni.

Macron l'intellettuale tecnocratico
Il presidente francese privilegia un linguaggio complesso e articolato, ricco di riferimenti culturali e filosofici. I suoi discorsi, spesso lunghi e strutturati, mirano a presentarlo come un leader intellettuale e visionario.
Mentre Trump semplifica per includere, Macron elabora per impressionare. Dove Trump usa slogan di poche parole, Macron costruisce visioni articolate che richiedono attenzione e una certa preparazione culturale per essere pienamente comprese.
Sui social media Macron mantiene un tono istituzionale e formale, lontano dalla spontaneità (vera o simulata) di Trump.

Xi Jinping la comunicazione del potere stabile
Il leader cinese rappresenta un modello comunicativo completamente diverso. La sua comunicazione, rigidamente controllata e pianificata, evita accuratamente improvvisazioni e controversie.
Xi privilegia messaggi di stabilità e continuità, costruendo un'immagine di leadership affidabile e prevedibile. L'uso dei social media è limitato e sempre mediato da organi ufficiali, in netto contrasto con l'immediatezza trumpiana.

Giorgia Meloni l'evoluzione comunicativa
Il caso di Giorgia Meloni, prima donna Presidente del Consiglio, rappresenta un interessante esempio di evoluzione comunicativa nel passaggio dall'opposizione al governo. La sua traiettoria offre numerosi spunti di confronto con lo stile trumpiano, pur mantenendo caratteristiche distintive.

Somiglianze con Trump:
Come Trump, Meloni ha costruito la sua immagine sull'essere "anti-establishment" e autentica, presentandosi come voce del popolo contro le élite. Il suo celebre "Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana" rappresenta un esempio di comunicazione identitaria efficace e memorabile, paragonabile agli slogan trumpiani.
Meloni ha dimostrato una notevole abilità nell'utilizzo delle piattaforme digitali, in particolare Facebook e Instagram, dove condivide non solo contenuti politici ma anche elementi della sua vita personale che però veicolano sempre un messaggio politico, creando un'immagine di accessibilità e vicinanza agli elettori.
Come Trump, privilegia una comunicazione che fa leva sulle emozioni più che sui dati, utilizzando storie personali e nazionali per creare connessioni emotive con il pubblico ma sempre con lo scopo di diffondere un messaggio politico perchè un politico non è un influencer.

Differenze significative:
A differenza di Trump, che mantiene uno stile comunicativo relativamente costante, Meloni ha saputo modulare il suo tono passando dall'opposizione al governo. Ha attenuato i toni più aggressivi della comunicazione da opposizione per adottare un registro più istituzionale dopo l'assunzione della leadership governativa.
Mentre Trump fa della provocazione continua un pilastro della sua strategia, Meloni la utilizza in modo più selettivo e strategico, alternandola a momenti di comunicazione istituzionale.
A differenza di Trump, che ha fatto della battaglia contro i "mainstream media" un elemento centrale della sua narrazione, Meloni ha cercato, soprattutto dopo l'ascesa al governo, di costruire un rapporto più collaborativo con i media tradizionali.
Un aspetto distintivo della comunicazione di Meloni è l'uso strategico di lingue straniere in contesti internazionali. I suoi discorsi in inglese, francese e spagnolo nelle sedi istituzionali internazionali rispondono alla necessità di costruire credibilità in ambito europeo e globale, una dimensione meno presente nella comunicazione trumpiana, prevalentemente focalizzata sul pubblico domestico.

Particolarmente interessante è l'evoluzione dei video social di Meloni, che sono passati dai toni accesi dei "video-selfie" dell'opposizione ai più misurati "Gli appunti di Giorgia" della fase di governo: una rubrica social in cui, con un formato più strutturato ma sempre diretto, illustra le politiche del suo esecutivo, cercando di mantenere il contatto diretto con i cittadini pur nel ruolo istituzionale.
Meloni sembra aver compreso, come Trump, l'importanza della personalizzazione della politica e della costruzione di un'identità comunicativa forte e riconoscibile. Tuttavia, ha dimostrato una maggiore flessibilità nell'adattare il suo stile alle diverse fasi della sua carriera politica e ai diversi pubblici a cui si rivolge. Emblematica del suo stile identitario l'immagine che la ritrae abbracciata alla figlia in un momento di riposo durante il recente G7 in Canada.
Una immagine che vale più di tante parole che esprime valori morali e politici, una immagine che è immediatamente percepita dalla gente, nel post Giorgia Meloni dice che la forza gliela dà proprio lei, la figlia. Un messaggio implicito (politico) anche per dire che il lavoro del politico è creare un mondo migliore per le generazioni future. Questo perché il contesto era il G7 in una situazione delicata, anzi drammatica.
Il post del Presidente del Consiglio ha suscitato molte critiche in Italia da parte dell'opposizione ma tali critiche hanno finito per rafforzare e diffondere il messaggio veicolato dal post e dalla foto di Giorgia Meloni. Un errore che l'opposizione fa piuttosto spesso. Per tornare al confronto con Donald quello di Giorgia è uno stile molto made in Italy come giusto che sia ma allo stesso tempo è indicativo di una notevole capacità di leadership.

Vladimir Putin controllo narrativo e immagine di forza
La comunicazione di Vladimir Putin rappresenta un caso di studio particolarmente interessante nel panorama dei leader mondiali, con caratteristiche che sia divergono sia intersecano lo stile trumpiano in modi significativi.
Elementi distintivi della comunicazione putiniana:
A differenza della spontaneità (reale o apparente) di Trump, la comunicazione di Putin è meticolosamente orchestrata per proiettare un'immagine di forza e controllo. Le iconiche foto che lo ritraggono a torso nudo a cavallo, durante sessioni di judo o in attività all'aria aperta non sono casuali, ma parte di una strategia comunicativa che punta a rappresentarlo come incarnazione della forza nazionale russa.
Putin esercita un controllo ferreo sulla narrazione mediatica in Russia. Mentre Trump combatte contro quello che definisce "fake news", Putin ha largamente risolto questo "problema" attraverso il controllo diretto o indiretto di gran parte del panorama mediatico russo.
In netto contrasto con l'emotività trumpiana, Putin adotta uno stile comunicativo freddo, controllato e preciso. I suoi discorsi sono misurati, pronunciati con un tono monocorde e privi di improvvisazioni. Anche quando esprime indignazione lo fa con una compostezza studiata.
Putin fa ampio ricorso alla storia russa e sovietica, costruendo la sua narrazione su un continuum storico che rafforza l'idea di una Russia eterna e resiliente. Questo uso della storia come strumento retorico è più sofisticato e strutturato rispetto all'approccio nostalgico di Trump al "Make America Great Again".

Punti di contatto con Trump:
Entrambi i leader fanno della mascolinità un elemento centrale della loro comunicazione, sebbene con modalità diverse: ostentata e fisica nel caso di Putin, verbale e comportamentale in quello di Trump.
Come Trump, Putin utilizza una retorica del "noi contro loro", sebbene nel caso russo il "loro" sia spesso rappresentato dall'Occidente piuttosto che da nemici interni.
Entrambi hanno personalizzato fortemente la politica nazionale, rendendo difficile distinguere tra le politiche statali e la loro visione personale.

Differenze fondamentali:
differenza di Trump, Putin non utilizza personalmente i social media. La sua presenza online è gestita dal Cremlino ed è formale e istituzionale.
Mentre Trump coltiva un'immagine di accessibilità e immediatezza, Putin mantiene una distanza calcolata, che rafforza l'aura di potere e inaccessibilità.
Putin utilizza un russo preciso e talvolta tecnico, lontano dalla semplicità linguistica trumpiana. Quando necessario, può ricorrere a espressioni colloquiali o gergali per evidenziare un punto, ma lo fa in modo strategico e controllato.
Le maratone di domande e risposte di Putin, che possono durare ore, mostrano un leader che padroneggia i dettagli e sa gestire interrogazioni prolungate, un formato che Trump ha generalmente evitato preferendo incontri più brevi e controllati.
Un esempio emblematico della comunicazione putiniana è il discorso annuale sullo stato della nazione: lungo, dettagliato, ricco di statistiche e proiezioni, pronunciato con un tono uniforme che comunica controllo e competenza. È l'antitesi del tweet emotivo trumpiano, ma persegue lo stesso obiettivo di dominare il ciclo mediatico e proiettare un'immagine di potere.
La comunicazione di Putin dimostra che esistono molteplici vie per ottenere la dominanza comunicativa: se Trump punta sul rumore e sulla provocazione continua, Putin fa del silenzio calcolato e della parola misurata ma definitiva i suoi strumenti di potere.

Trump e Silvio Berlusconi
Immaginate due figure che, pur distanti geograficamente e per certi versi culturali, hanno saputo toccare le corde profonde del loro elettorato con una maestria comunicativa che lascia il segno. Berlusconi, l'imprenditore prestato alla politica, ha costruito un impero mediatico che ha plasmato l'immaginario italiano, un vero e proprio demiurgo dell'opinione pubblica.
Trump, invece, ha cavalcato l'onda dei social media, trasformando la sua presidenza in un reality show continuo, un palcoscenico dove ogni tweet era un atto di un dramma politico senza fine. Entrambi, maestri del populismo, hanno saputo parlare alla pancia del popolo, raccogliendo il malcontento e trasformandolo in consenso. Il linguaggio semplice, diretto, a volte perfino sgarbato, ha creato un'illusione di vicinanza, di comprensione autentica.
Eppure, le differenze emergono con chiarezza. Berlusconi, pur con le sue intemperanze, ha sempre mantenuto un certo legame con le forme istituzionali, un'eco del suo passato da uomo d'affari di successo. Trump, invece, ha portato il caos, la provocazione, l'irruzione del reality show nella sacralità della Casa Bianca. Il contesto, d'altronde, ha giocato un ruolo cruciale.
Berlusconi ha operato in un'Italia complessa, frammentata, dove la politica era un gioco di equilibri precari. Trump, invece, ha agito in un'America polarizzata, dove ogni parola era un'arma, ogni tweet una scintilla pronta ad accendere un incendio. Così, due leader, due stili, due epoche, ma un unico, indiscusso talento: quello di parlare al cuore della gente, nel bene e nel male.

Tornando all'attualità, in questi ultimi giorni le note vicende belliche hanno fatto si che la comunicazione digitale politica americana tornasse al centro del gioco geopolitico. Donald Trump, attraverso i social, ha comunicato direttamente con il popolo le operazioni militari contro l’Iran. Nessuna conferenza stampa solo messaggi chiari, forti, emozionali.
Le sue parole sono state più di uno slogan: sono architravi emotive attorno a cui si costruisce consenso, identità e giustificazione politica. È lo storytelling bellico in salsa digitale.
Trump aveva vinto con l’isolazionismo e l’“America First”.

Ora, davanti a una nuova sfida globale, ha rimodulato la sua strategia internazionale: più interventista, più identitaria, più simbolica.
La linea comunicativa USA si sta adattando, evolvendo giorno per giorno. Il linguaggio usato con Israele, il Medio Oriente e gli alleati sarà fondamentale per capire dove vanno gli Stati Uniti e la loro narrazione globale.
Cosa ci fa capire tutto questo nel linguaggio comunicativo digitale?
La comunicazione politica digitale non è solo forma, ma sostanza geopolitica. È linguaggio, strategia, consenso. E oggi più che mai è parte integrante della guerra stessa.

Lo stile comunicativo di Donald Trump ha indubbiamente rivoluzionato la comunicazione politica contemporanea, dimostrando una straordinaria efficacia nell'era dei social media e della frammentazione dell'informazione.
Tuttavia, i tentativi di emulazione da parte di altri leader politici hanno avuto risultati alterni. Il "modello Trump" sembra funzionare meglio quando è autentico (o percepito come tale) e quando si inserisce in un contesto politico e mediatico recettivo alla polarizzazione.
Ciò che resta da vedere è quanto questo modello comunicativo possa influenzare durevolmente le norme della comunicazione politica globale e se rappresenti una parentesi storica o l'inizio di una nuova era nella relazione tra leader politici e opinione pubblica.
Quel che è certo è che, qualunque sia il giudizio politico su Donald Trump, il suo impatto sulle tecniche di comunicazione politica contemporanea rappresenta un caso di studio destinato a influenzare per diverso tempo le strategie comunicative dei leader di tutto il mondo.

Articolo sul Nuovo Giornale Nazionale