

di Adolfo Tasinato
Mobilitazioni annunciate, piazze agitate, social in fiamme.
Proprio mentre questo articolo prende forma è in corso l'operazione della Marina Israeliana finalizzata a bloccare le barche della Flottilla, fino all'ultimo il Governo Israeliano ha proposto ai manifestanti di consegnare gli aiuti per inviarli a Gaza. Ma dalle barche nessun segno di disponibilità anche se qualcuno ha pensato bene di mettersi al sicuro, infatti la Marina turca ha preso a bordo numerosi regatanti.
La cosiddetta Flottilla verso Gaza nasce come operazione umanitaria, almeno così è stata presentata. Ma basta grattare la superficie per accorgersi che siamo di fronte a un’operazione politica mascherata, usata in Italia come grimaldello per generare tensione sociale e colpire il governo Meloni.
Partiamo dai fatti: la Flottilla è un convoglio di barche che voleva sfidare il blocco navale imposto da Israele, misura controversa ma in piedi da anni per impedire l’afflusso di armi a Hamas. Gli organizzatori hanno rifiutato qualunque alternativa di consegna degli aiuti, anche quelle proposte da ONU, Vaticano, Croce Rossa e dalla stessa Italia per voce del Presidente della Repubblica e di Giorgia Meloni. Perché? Perché lo scopo non è consegnare viveri, ma creare un incidente internazionale. A Gaza non si sa neppure dove sbarcherebbero questi aiuti, né chi li distribuirebbe. La tempistica poi è sospetta: l'irremovibilità della Flottilla si consolida proprio mentre si discute di una tregua fragile ma vicina. E a chi conviene far saltare il tavolo diplomatico? Ad Hamas, che altrimenti rischierebbe di essere ridotto all’impotenza.
Ma la parte più inquietante non è nel Mediterraneo. È in Italia. Qui la Flottilla è diventata il pretesto perfetto per rilanciare lo scontro interno. Conte, il PD, l’alleanza rosso-verde, i movimenti giovanili, magari sponsorizzati da chi vorrebbe una Italia debole e infiltrati da giovani islamici radicalizzati, tutti in coro gridano contro Meloni, trasformando una vicenda estera in un’arma di distrazione di massa. Nei social e nelle piazze si fomenta la mobilitazione, con toni da chiamata alle armi. Sindacati che minacciano e proclamano scioperi generali, leader sindacali come Landini in cerca di ruoli politici pronti a cavalcare l’onda, intellettuali organici che agitano lo spettro del “regime” per galvanizzare le folle. Siamo davvero di fronte a un’emergenza umanitaria o, più banalmente, a un copione già visto?
La sinistra italiana è disperata: non riesce a parlare al Paese con proposte serie, allora cerca di incendiare le piazze. E sa bene che i giovani sono il terreno più fertile, facilmente suggestionabili dall’immaginario della lotta e dalla retorica del “resistere”.
I sindacati di sinistra da tempo incapaci di difendere i lavoratori si danno alla politica sulle spalle degli iscritti. Il loro nuovo slogan: compagno tu sciopera che io magno!
In fondo lo abbiamo capito presto il giochino; la Meloni è abile e allora non si attacca il suo operato ma ci si attacca al Fascismo, Beatrice Venezi viene nominata Direttore de La Fenice di Venezia e il gioco si ripete, non si attacca tanto lei per il suo curriculum ma il fatto che il padre sia di Destra.
Così Gaza diventa il palcoscenico lontano di una battaglia tutta italiana, in cui l’obiettivo non è fermare la guerra ma destabilizzare il Governo e riaprire una stagione di estremismo da manuale. Una strategia che, in certi toni, ricorda pericolosamente gli anni bui delle Brigate Rosse.
E mentre la sinistra soffia sul fuoco, figure che dovrebbero rappresentare imparzialità ed equilibrio finiscono per fare politica militante: pensiamo a Francesca Albanese, relatrice ONU che invece di limitarsi al suo mandato si spende come opinionista di parte, attaccando sistematicamente il Governo italiano. Non è questo il ruolo di un funzionario internazionale, ma evidentemente il confine tra attivismo e diplomazia è diventato troppo sottile e poi chissà magari salta fuori una candidatura.
Non possiamo comunque ignorare certi segnali. Dietro la retorica degli “aiuti umanitari” e delle “flotte di pace” c’è una strategia precisa: creare caos, bloccare la Nazione, mettere in difficoltà l’esecutivo e gettare il Governo nel mirino di una campagna di delegittimazione costante. Il tutto mentre la pace, quella vera, viene sabotata.
Bene fa quindi l’onorevole Federico Mollicone a chiedere trasparenza su chi finanzia la Flottilla, su quali reti politiche e logistiche si muovono dietro questa operazione. Gli italiani hanno il diritto di sapere se il nostro dibattito pubblico è manipolato da organizzazioni che nulla hanno a che fare con l’interesse nazionale e che, anzi, lavorano contro la stabilità democratica.
La verità è semplice: la Flottilla non porterà pace a Gaza, ma tensione in Italia. È il cavallo di Troia con cui la sinistra tenta di riaprire un clima di piazza permanente, trascinando generazioni intere in una lotta che non appartiene loro. Non è solidarietà: è strumentalizzazione. Non è politica estera: è cinico calcolo interno.
E a questo gioco pericoloso bisogna rispondere con chiarezza e fermezza, in primis la sinistra italiana che sta prendendo una deriva imbarazzante. Basta con le ambiguità, basta con il doppio linguaggio. Se davvero si vuole aiutare la popolazione civile di Gaza, lo si fa con la diplomazia e con i canali legali, non con le barchette piene di giovanotti e vuote di aiuti.
E se davvero la sinistra vuole salvaguardare la democrazia italiana inizi a denunciare chi, nella loro cerchia, alimenta l’estremismo e ricordando a tutti che gli anni Settanta non devono tornare. Ma da che parte stanno i cosiddetti partiti democratici? Al momento sono in alto mare o alle prese con “eroiche” occupazioni di stazioni ferroviarie italiane.
