

L’invito di Fratelli d’Italia ad Atreju, la storica festa identitaria della Destra, era da giorni al centro di un balletto politico prevedibile ma non irrilevante. A scompaginare le carte è stata la segretaria del PD Elly Schlein, che dopo il rifiuto dello scorso anno ha annunciato la propria disponibilità a partecipare a questa edizione, ponendo però una condizione netta: un confronto diretto con Giorgia Meloni.
La mossa della segretaria del PD puntava a una precisa operazione narrativa: trasformare Atreju da evento di parte a palcoscenico nazionale, portando il duello con la presidente del Consiglio sul terreno simbolico che più definisce le leadership. La scelta, nelle intenzioni, ambiva a consolidare la sua posizione come riferimento principale dell’opposizione e a polarizzare lo scontro in chiave bipolare: da un lato Giorgia Meloni, dall’altro lei.
Già il fatto di potersi affiancare al Presidente del Consiglio la ripagava in termini di visibilità. In comunicazione politica di solito si sconsiglia a chi ritiene di essere in vantaggio di esporsi con l'avversario più debole ma in questo caso Giorgia Meloni gioca in casa e non si è limitata a rispondere ma con una mossa intelligente ha ridefinito tutto il contesto a suo vantaggio.
Meloni ha infatti risposto con una contromossa che ha radicalmente mutato la configurazione del campo. In un comunicato breve, misurato nei toni, ha dichiarato di essere disponibile al confronto, ma “insieme a Giuseppe Conte”. Un’aggiunta che sembra marginale, quasi procedurale, ma che contiene l’architettura di una strategia complessa.
Meloni ha giustificato l’inclusione di Conte con due motivazioni, entrambe costruite per essere percepite come non polemiche:
1. Conte, a differenza di Schlein, è già stato ad Atreju senza porre condizioni, anche da premier;
2. Non spetta alla maggioranza designare il leader dell’opposizione.
Formalmente, la premier si limita a una constatazione di buon senso. Sostanzialmente, introduce due elementi decisivi:
ricorda la distanza tra opposizione istituzionale e opposizione rissosa e scomposta, premiando chi, come Conte, ha partecipato alla manifestazione dell'avversario politico senza porre precondizioni; priva la Schlein di quel riconoscimento implicito che la sua mossa voleva ottenere: la legittimazione come unica leader della opposizione al governo in carica.
Tra l'altro è interessante notare come Conte, nella partecipazione alla edizione del 2024, ribadì chiaramente che il suo partito non sarebbe mai diventato lo junior partner di altri!
La scelta di Meloni è dunque coerente con un’impostazione comunicativa consolidata: accettare i confronti, ma definendone sempre confini, attori e tempi. È una strategia di controllo del perimetro che le consente di apparire disponibile, inclusiva, dialogante, pur restando arbitra delle dinamiche politiche.
Atreju non è un terreno neutro. È una festa di partito, con forte carica identitaria, in cui Meloni gioca in casa e gestisce il ritmo degli interventi, il pubblico, il linguaggio e la scenografia.
Schlein, proponendo il duello, tentava di “neutralizzare” il contesto, trasformandolo in un’arena politica più aperta e meno sbilanciata. Ma con l’ingresso di Conte, Meloni ha reso questa neutralizzazione impossibile.
Il confronto, se ci sarà, non potrà più essere un faccia a faccia tra leader in condizione di parità simbolica. Sarà un triangolo in cui l’unica figura con un ruolo istituzionale definito è proprio Giorgia Meloni.
Conte e Schlein, invece, si troveranno costretti a misurarsi l’uno con l’altra.
Col risultato che l’obiettivo iniziale della leader Dem, l’investitura come riferimento unico dell’opposizione, rischia di indebolirsi invece di rafforzarsi.
Dal punto di vista strategico, la mossa della premier crea un dilemma in tre varianti, tutte problematiche per le opposizioni.
1. Partecipare insieme:
Il confronto a tre metterebbe in piena luce la fragilità dei rapporti tra PD e M5S, le loro divergenze programmatiche e la competizione per la leadership del campo progressista. Meloni, in questo scenario, può limitarsi a gestire i tempi e intervenire con parsimonia: lo scontro interno all’opposizione farebbe il resto.
2. Partecipare separatamente:
Se Schlein decidesse di non presentarsi, lasciando il palco a Conte, il leader M5S otterrebbe una visibilità che la segretaria Dem voleva invece incanalare su di sé. Lo stesso vale a ruoli invertiti.
3. Non partecipare affatto:
In questo caso, Meloni può rivendicare una disponibilità al dialogo tradita dalle opposizioni, rafforzando la narrativa di un governo aperto e di un’opposizione prigioniera dei propri veti interni.
In tutti e tre i casi, Meloni mantiene l’iniziativa e definisce la cornice del confronto.
Al momento attuale l'esito della vicenda vede Conte disponibile a partecipare al confronto mentre Elly Schlein ha precipitosamente e senza molti argomenti rifiutato il confronto a tre. Molto scontato e puerile il suo commento “La Meloni ha paura di me”.
L’episodio rientra in uno schema ben riconoscibile negli ultimi anni: Meloni tende a non rifiutare mai lo scontro diretto, ma lo accetta alle sue condizioni se è in grado di dettarle. In questo modo evita la trappola della debolezza (non può essere accusata di scappare) e allo stesso tempo preserva il suo vantaggio strategico.
È un approccio simile a quello adottato nei confronti di leader stranieri, di critiche internazionali o di polemiche interne: Giorgia Meloni non entra mai nella cornice avversaria, ma la modifica, la ridefinisce e spesso la ribalta.
È un metodo che combina istinto ed esperienza politica (e la premier ne ha in abbondanza) e gestione consapevole della narrazione anche per merito di uno staff che appare all'altezza della situazione.
Conclusione: una contromossa che ridisegna gli equilibri del confronto.
Il tentativo di Schlein di forzare un duello diretto con Meloni rappresentava un’operazione ambiziosa e potenzialmente utile per consolidare la propria immagine di leader. Ma la risposta della premier ha dimostrato una padronanza superiore del campo.
Riformulando il confronto, Meloni:
evita la legittimazione univoca della segretaria PD, rimette in competizione PD e M5S, rafforza la propria immagine di leader aperta, mantiene il controllo dello scenario comunicativo.
È una strategia di sottrazione elegante: invece di negare, amplia; invece di opporsi, ingloba; invece di accettare il terreno altrui, ne crea uno nuovo.
In questa fase, la premier continua a fissare tempi, spazi e regole del confronto pubblico.
Le opposizioni, al contrario, ne escono ancora una volta costrette a inseguire.
